Prendendo spunto da una lezione tematica allo IED di Milano, Massimo Gianquitto riflette sulle influenze di alcuni movimenti moderni del design sugli spazi abitativi contemporanei: il Bauhaus (1919 – 1933) e il De Stijl (1917 – 1942), che insieme al maestro Le Corbusier (1887-1965) hanno ispirato diversi campi, dall’architettura al design, dall’arredamento alla grafica.
Le influenze di Bauhaus e De Stijl sull’abitare contemporaneo
Al di sopra di cambiamenti di gusto e mode, i movimenti del Bauhaus e De Stijl dimostrano come si possa vincere la sfida di un’epoca: sopravvivere al proprio tempo, diventando un riferimento per i decenni successivi.
In particolare, sul tema della casa, sia per il movimento olandese neoplastico De Stijl sia per il Bauhaus con cui ebbe rapporti piuttosto vivaci, le ricerche effettuate non sono ancora state applicate del tutto e le lezioni teoriche non si sono mai concretizzate realmente su larga scala.
Che cos’è il Bauhaus
La Bauhaus e stata una scuola fondata nel 1919 a Weimar e attiva fino alla sua chiusura nel 1933. L’istituto ha cercato di conciliare arte e artigianato in un nuovo linguaggio legato alla produzione industriale, impostando nuovi canoni estetici per l’architettura e il design moderni.
Il Weißenhof, complesso di edifici abitativi costruito a Stoccarda nel 1927, in occasione dell’esposizione organizzata dal Deutscher Werkbund costituì una sorta di “vetrina” internazionale, per esporre le innovazioni (architettoniche e sociali) proposte dal Movimento moderno.
Il comprensorio includeva 33 edifici, per un totale di 63 abitazioni, progettate da diciassette architetti europei con lo scopo di mostrare al pubblico i risultati della sperimentazione e innovazione raggiunta nella progettazione e realizzazione di abitazioni moderne.
Il De Stijl e gli spazi abitativi
Il movimento De Stijl detto anche Neoplasticismo è nato In Olanda a Leiden nel 1917 in concomitanza con la pubblicazione del primo numero dell’omonima rivista fondata da Theo Van Doesburg e Piet Mondrian. I suoi caratteri distintivi, elencati nel celebre manifesto, citavano l’arte astratta, la ricerca dell’essenzialità e la geometria.
Come nota Bruno Zevi, storico dell’architettura, nel suo libro “Poetica dell’architettura Neoplastica”: “La base di queste esperienze è fondata sulla conoscenza semplice degli elementi d’espressione primari e universali, in modo da arrivare a un metodo per organizzarli secondo una nuova armonia”.
Nel 1924 venne realizzata un’opera davvero unica: un esperimento abitativo. La Villa per la signora Schröder alla periferia di Utrecht, nel quale il giovane architetto J Rietveld, membro del Movimento De Stijl, poté applicare i principi teorici e programmatici in modo chiarissimo. Questo caso è un eccezionale esempio di una logica per molti versi rimasta inapplicata e che potrebbe proprio oggi rappresentare una soluzione per lo spazio abitativo e lavorativo moderno.
L’approccio di Le Corbusier
Le Corbusier, considerato il maestro del Movimento Moderno, è stato un grande sperimentatore sul tema dell’abitazione. Nato e cresciuto nel borgo di La Chaux-de-Fonds, formatosi all’ombra di Charles L’Eplattenier, ha esordito come architetto nel 1905 e si è dedicato alla ricerca teorica e alla realizzazione concreta delle sue idee nel corso di tutta la vita.
Intuizioni che hanno reso possibile l’applicazione dei cinque principi da lui elaborati – conosciuti come “i cinque punti della nuova architettura” – che sono cardine per attuare la rivoluzione architettonica guidata dalla macchina. Il caso della maison Citrohan e Dom-Ino rappresentano due esempi rilevanti della sua concezione architettonica sul tema dell’abitazione.
La maison Citrohan, è stata pensata come prototipo d’abitazione da riprodurre in serie (esattamente come l’automobile a cui è ispirato il nome del progetto), così come la Dom-ino, grazie all’impiego di uno scheletro in cemento armato a travi e pilastri (i “pilotis”, primo dei cinque punti).
Elementi che a loro volta consentono di svincolare i tramezzi interni dallo scheletro portante, posizionandoli a proprio piacimento (è il principio del “plan libre”) e di organizzare le facciate come semplice sequenza di pieni e vuoti, che asseconda le necessità degli spazi interni (“façade libre”); di sostituire le tradizionali finestre verticali con le aperture a nastro (“fenêtre en longueur”), che massimizzano gli effetti dell’illuminazione naturale.
Due modelli di abitazioni che permettono agli abitanti di modificare lo spazio nel tempo, adattandolo secondo le mutate esigenze e nuove necessità funzionali.
Lo spazio flessibile
Come osservato nei primi paragrafi, i contributi di Bauhaus, De Stijl e di Le Corbusier con il movimento moderno, si sono rivelati fondamentali per le proposte d’edilizia residenziale successive, che ancora oggi hanno un’influenza straordinaria sulle generazioni di giovani progettisti, almeno dal punto di vista della ricerca teorica.
Restano tuttavia inapplicate molte delle grandi questioni che riguardano il tema dell’abitazione privata (a eccezione di qualche brillante esempio di residenza sociale), intesa come applicazione di quegli studi sulla standardizzazione e sull’industrializzazione dell’edilizia abitativa.
Per questo è utile proporre nuovamente il tema e stimolare una discussione, specie alla luce delle criticità rilevate durante il periodo in cui abbiamo vissuto forzatamente a casa. Le trasformazioni e gli adattamenti repentini e non sufficientemente progettati a cui abbiamo assoggettato le abitazioni private, le hanno fatte diventare un luogo di lavoro e uno spazio ibrido, digitale e sociale, in cui accogliere gli altri attraverso lo schermo del pc collegato in video conferenza.
Il valore della riconfigurazione negli spazi abitativi
Alla luce di questi cambiamenti, l’abitazione dovrà considerare aspetti non solo tecnici, funzionali, economici e normativi, ma anche valori estetici e psicologici a volte trascurati. I nuovi modelli abitativi non potranno prescindere dall’applicazione di alcuni principi che hanno a che vedere con l’evoluzione della nostra società e i cambiamenti che essa ha prodotto e produrrà.
In particolare occorrerà considerare il tema della flessibilità, della riconfigurabilità, la possibilità di modificare un ampio spazio (la sognata pianta libera che oggi chiamiamo open-space) privo di separazioni fisse in locali e stanze che, a seconda delle esigenze e dei desideri, varia durante la giornata, o perfino negli anni.
D’altronde, il desiderio dell’abitante della città contemporanea e dell’impiegato aziendale, non è quello di uno spazio standardizzato, ma di un ambiente personalizzato in cui poter esprimere la propria identità. Il senso di appropriazione di uno spazio, come la casa, passa infatti attraverso la personalizzazione del luogo, l’adattabilità e la possibilità di interagire in modo unico e speciale con ogni ambiente.
La tecnologia integrata, gli arredi flessibili e l’adattabilità degli spazi permettono all’abitazione di mutare insieme ai suoi abitanti, soddisfacendo dunque il cambiamento della domanda abitativa. Uno dei requisiti essenziali dell’edificio “eco-responsabile” è la sua durabilità nel tempo.
Sostenibilità temporale
Mantenendo invariata la dimensione dei muri perimetrali si ha la possibilità di scegliere differenti configurazioni della casa (e dell’ufficio) e quindi generare una flessibilità degli spazi interni in cui ogni abitante può cucire su sé stesso lo spazio.
Uno dei sistemi costruttivi che può dare questa flessibilità spaziale è l’utilizzo di pareti mobili leggere che garantiscono di dividere la casa in diverse configurazioni, compatibilmente con la necessità. L’abitazione quindi, non diventa un limite, ma qualcosa che si adatta alle esigenze.
Sostenibilità materica
La sostenibilità ambientale del costruito rappresenta un requisito irrinunciabile per i nuovi sviluppi immobiliari e per le riqualificazioni.
La capacità di limitare l’impatto sugli ecosistemi – garantita attraverso un’attenta valutazione dei materiali da costruzione e del loro processo di produzione e loro ciclo di vita, è diventata sinonimo di qualità del costruito.
Sostenibilità tecnologica
L’impianto domotico può essere riconfigurato al variare delle necessità dell’utenza, in quanto la connessione tra i singoli dispositivi di comando e i punti di esecuzione non è fisica come in un impianto tradizionale, ma determinata da un collegamento logico.
Questo significa che, modificando la configurazione dell’impianto nella centrale di programmazione, o attraverso software dedicati, se ne possono cambiare le correlazioni e le condizioni operative senza intervenire sui cablaggi e di conseguenza sulle murature.
Allo stesso modo è possibile realizzare in un primo tempo un impianto con funzioni minime aggiungendo successivamente, in base alle sopravvenute esigenze, altre funzionalità.
L’ufficio ibrido ispira gli spazi abitativi del domani
Eppure siamo certi che la casa, territorio che non ha certamente avuto una ricerca e sperimentazione così approfondita come quella riservata all’ufficio, nei prossimi anni subirà una trasformazione come quella dei luoghi di lavoro.
Una metamorfosi che da spazio della produttività sta trasformando le sedi aziendali in Social Club dove non vi sono più postazioni di lavoro assegnate, ma gli spazi vengono sfruttati a seconda dell’attività svolta (activity based working) e in base alla necessità di favorire e stimolare la convivialità, la collaborazione, l’interazione degli utenti-lavoratori.
Tutto questo determina la sua inevitabile trasformazione e non presenta più partizioni fisse né scrivanie assegnate, ma ambienti fluidi dove poter svolgere focus work e concentrarsi, oppure meeting informali e brainstorming con i colleghi. Un ambiente ibrido che ispirerà i luoghi dell’abitare del domani.